Debuggando la felicità con Michele Riva (Nearform)
Questa settimana andiamo un po offtopic, dopo una settimana ricca di emozioni ci siamo trovati con Michele Riva e Luca Rainone a parlare di felicità. Cosa è la felicità? Come la misuriamo? Quali sono gli elementi ostativi? Ne abbiamo parlato a lungo senza necessariamente dare risposte ma con l’obiettivo di stimolarci ancora più domande per attivare il ricco processo di riflessione individuale.
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Crediti
Le sigle sono state prodotte da MondoComputazionale
Le musiche da Blan Kytt - RSPN
Sweet Lullaby by Agnese Valmaggia
Monkeys Spinning Monkeys by Kevin MacLeod
Trascrizione
Bene e benvenuti su Gitbar, nuova settimana e nuovo episodio qua nel bar degli sviluppatori.
C'era un prima e c'è un dopo.
Per Gitbar, almeno dal mio punto di vista, c'è stato un prima CodeMotion e un dopo CodeMotion.
Perché? Perché durante il CodeMotion abbiamo avuto modo di incontrarci.
Eravamo presenti io, Luca e Andrea e abbiamo avuto modo di incontrare molti di voi.
Parlo per me.
Però è stata quasi una rivelazione, un'epifania, no? Come direbbe Joyce.
Qualcosa che sembra nell'aria e poi ti si manifesta con la sua fisicità.
E quindi per la prima volta ho visto CodeMotion e mi sono emozionato tantissimo.
Come è, oh Luca? Per te invece, com'è stato l'impatto con la nostra community? Ciao Mauro, ciao a tutti.
Ma è stato fantastico.
Vabbè, per me era la prima volta in generale un evento come il CodeMotion, ma poi vedervi, vedervi tutti, vedere anche alcuni degli ospiti che abbiamo avuto qui, vedere te, vedere Andrea, già l'avevo visto, però vedere anche tutti quanti è stata un'esperienza quasi quasi mistica, perché ha dato tridimensionalità a delle sensazioni che erano bidimensionali.
Questa mi è venuta adesso proprio così, può andare bene.
In realtà anche l'ospite di oggi l'abbiamo rincontrato a CodeMotion ed è stato bellissimo chiacchierare con lui e lo presentiamo dopo la nostra sigla.
Benvenuti su GitBar, il podcast dedicato al mondo dei full stack developer.
I mezzo artigiani, i mezzo artisti che ogni giorno infilano le mani nel fango per creare nel modo più efficiente possibile quei prodotti digitali che quotidianamente usiamo.
Divulgatore, conferenziere e uomo di spettacolo in realtà.
Abbiamo con noi un amico più che uno speaker, abbiamo con noi Michele Riva.
Chi non lo conosce, ai ai ai, perché ovunque.
Ciao Michele, come stai? Ciao, tutto bene e voi? Noi ci stiamo riprendendo in realtà, io non so Luca.
Luca come sei a energie? Energie? Beh come a qualsiasi giovedì verso le nove e un quarto di sera va benissimo.
Pieno di energie che andranno a scemare tra tipo 20 secondi.
Se non c'è qualche argomento, qualche cosa che potrà sostenere la frizzantosità, diciamo così, del podcast, di che cosa si parla oggi? Eh, oggi l'argomento è molto difficile, ma prima di introdurlo, giusto così, facciamo un contesto.
Allora immaginate questa situazione, postcode motion, energie a limite perché dopo tre giorni insomma venivamo da un tour abbastanza, con dei ritmi particolarmente serrati.
Io e Michele, insieme a tanti altri amici, ci troviamo un ritrovo aziendale ad Alicante e i ritrovi aziendali, lo sapete, dopo le nove di sera, le dieci di sera assumono delle forme particolari dovute talvolta al livello alcolico, ma in questi momenti, spesso, una parte più profonda di noi viene fuori.
Per cui sotto suggerimento di Michele, dopo le nostre paio di ore di chiacchierata, abbiamo tirato fuori questo discorso.
Di cosa parliamo Michele? Allora, oggi parliamo di un argomento facile, per cui facile da affrontare e parleremo della felicità.
E fu così che un episodio di Gitbar diventò un episodio trasversale.
Premessa doverosa, stiamo uscendo dalla nostra zona di comfort e molte delle cose di cui parleremo sono cose molto personali.
Abbiamo deciso di condividerle con voi perché sempre più spesso ci dimentichiamo, e io mi metto proprio in prima fila, ci dimentichiamo di fare un passo indietro e di pensare alla felicità.
E allora la prima domanda che voglio farvi, Michele e Luca, è cos'è per voi la felicità? Facciamo partire Luca.
Eh, la felicità, ok parto io.
La felicità l'ho sempre vista come un delta, un cambiamento, un cambiamento di stato.
Perché è difficile, se io penso, è difficile essere perennemente felici.
Tu quando è che sei felice? Quando qualcosa cambia e qualcosa è in positivo.
Quindi quando il tuo stato si trova in una posizione maggiore di benessere rispetto a come eri prima.
Per me quindi è quella la felicità, il delta una differenza positiva di stato.
Ed è forse anche per questo che è difficile mantenere alta la felicità, perché significherebbe comunque avere sempre un cambiamento costante e un cambiamento sempre in positivo.
Questo è quello che ho sempre ho sempre pensato.
Ah, tocca a me, non vai tu Mauro? Vuoi rimanere per ultimo? Io devo copiare.
Ok, allora io innanzitutto parto dicendo che secondo me la felicità è qualcosa che va contestualizzato dal punto di vista culturale.
Nel senso che ci sono culture che hanno saputo dare una definizione, culture che ne hanno rifiutate altrettante.
E se pensiamo a culture, ad esempio culture cristiane, hanno un concetto di felicità molto diverso da un concetto magari hinduista, dove la felicità nel cristianesimo arriva nel momento in cui si, sostanzialmente, si arriva al cielo, momento hinduista, non esiste questa questa parte della propria esistenza, per cui la felicità è qualcosa di estremamente diverso.
Io personalmente mi rifaccio molto a un concetto di felicità greco, soprattutto per quanto riguarda ciò che viene scritto da Aristotele e che già sai perché ne abbiamo parlato a Code Motion, e che se vogliamo possiamo snocciolare più avanti.
Però prima di snocciolare questo discorso mi piacerebbe sapere la tua.
Allora, dare una definizione di felicità per me è una delle cose più difficili del mondo, perché se mi chiedi ad oggi che cos'è la felicità per te, non lo so.
Nel senso che percepisco felicità quando riesco a sentire in me stesso, e faccio una premessa, il mio concetto di felicità ha assunto una forma più tangibile dopo la paternità.
Per cui quello che sento oggi come felicità, per me la felicità è sapere che quello che faccio ha un impatto positivo, naturalmente utilizzando il mio metro di giudizio, in ciò che mi circonda.
Sapere che quindi ogni mia azione, ogni mio sforzo ha un impatto che va verso una certa direzione, ecco questo è il mio concetto di felicità, che è un po' legato anche al senso della vita.
Visto che, insomma, avremmo potuto parlare di Haskell, ma abbiamo scelto argomenti più semplici.
Giusto, però vedi già il fatto che tre persone abbiano dato tre risposte molto diverse tra loro, mi fa pensare che effettivamente vale la pena dire, almeno dal mio punto di vista, che io personalmente non penso di avere nessun tipo di risposta e qualunque cosa io dica da qua in poi non è altro che un'interpretazione del mio passato, di quello che ho letto e delle esperienze che ho avuto.
Quindi ecco, credo sia doveroso, soprattutto se a un certo punto si dovesse parlare di argomenti anche spirituali, se vuoi, non so, religione eccetera, naturalmente sono interpretazioni estremamente personali, non verità assolute a cui credere.
Credo che è proprio alla base di Gitbar questa apertura, per cui apprezzo tantissimo la puntualizzazione che hai fatto, ma sono praticamente sicuro che proprio la nostra community prende per assunto quello che hai appena detto, nel senso, quello che noi stiamo, intanto premesso, non vogliamo insegnare niente a nessuno, specie in questo episodio che è molto personale, ma vogliamo stimolare il dibattito, per cui avrei un enorme piacere se vedessi che un'amicia scopia all'interno del gruppo Telegram e la discussione può ampliarsi e continuare perché è là che generiamo valore.
Ritornando al concetto della felicità però, sai, io da paraculo vi ho fatto la prima domanda nel provare a dare una definizione di felicità.
La mia domanda è, e se la felicità non avesse una definizione? Cioè, in quanto uomini, e soprattutto in quanto ingegneri tecnici, noi tendiamo a misurare tutto, a dare un'unità di misura a tutto, ma se la felicità fosse quell'elemento che in realtà non si può misurare? Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché in realtà se pensano alla felicità misurabile, magari mi sbaglio, tenete presente che io sono una capra ignorante in questi argomenti e stiamo sfiorando degli argomenti filosofici dove io ho proprio la mia conoscenza è vicina appunto alla conoscenza che odiasco e quindi zero, però quando si pensa di misurare la felicità mi viene in mente subito Orwell con 1984 dove la felicità era schematizzata e misurabile, ma la felicità è veramente questo? Boh! Probabilmente ti viene in mente perché effettivamente viviamo in un in un contesto culturale tale per cui è molto facile riconoscere questo tipo di schematizzazione e di valutazione della felicità.
Io personalmente sono sempre stato molto critico con il modo in cui in cui sicuramente viviamo e con il contesto in cui dentro quale ci muoviamo proprio perché non non è più un contesto fatto per rendere le persone felici.
Potremmo arrivarci nel senso che credo sinceramente che siamo arrivati a un punto in cui l'uomo non è più protagonista del suo tempo e per questo motivo non è più in grado di essere di essere felice e ci arriveremo, ci arriveremo.
Aspetta cosa intendi per l'uomo non è più protagonista del suo tempo? Se pensiamo...
oggi andiamo di filosofia e mi dispiace per tutti quelli che ascoltano ma è una vita che voglio fare questo episodio quindi permettetemi.
Se noi pensiamo...
non so avete mai letto qualcosa di Nietzsche? Sì, poca roba.
Tieni presente che io sono un tecnico poco filosofo.
Se pensiamo a Nietzsche quando dice che Dio è morto, annuncia che Dio è morto per un sostanzialmente per un semplice motivo perché nel momento in cui nella civiltà in cui viviamo eliminiamo Dio dal contesto continuiamo perfettamente a comprendere la civiltà in cui viviamo.
Cosa che non potevamo dire magari nel medioevo.
Tu prova a rimuovere il concetto di Dio dal medioevo? Non puoi comprenderlo.
Come fai? L'intera civiltà occidentale si fondava sul concetto di seguire una religione.
Eravamo letteralmente governati da una forza religiosa per cui togliere Dio da quel contesto significa non comprendere più quel contesto.
Ad oggi però se togliamo Dio dal nostro contesto lo capiamo perfettamente ma io mi spingerei più avanti e ti direi ad oggi le informazioni, noi poi che facciamo questo mestiere, i dati che esistono, io inizio a credere che ci muoviamo in un contesto che non sia neanche più a misura d'uomo nel senso che a un certo punto inizia ad essere tutto così tanto automatizzato, così tanto delegato a qualcosa che non è più umano che arriveremo tra 50, 100 anni, mille anni speriamo, a riuscire a togliere la parola uomo dalla nostra civiltà e riuscire comunque a comprenderla.
Ok quindi togliendo il ruolo, il senso dell'essere umano in una certa civiltà tu stai togliendo anche la felicità di quel essere umano se la misuriamo come impatto in ciò che ci circonda.
Sto capendo bene? Sì, rimuoviamo il concetto di felicità semplicemente per il fatto che la misura di questa civiltà che stiamo vivendo è una misura che si estende non più nella autorealizzazione delle persone che è qualcosa che invece potevamo sperare magari in passato.
Un tempo pensavamo cavolo quando le macchine saranno in grado di fare i nostri lavori noi finalmente saremo liberi ed essere liberi ci dà una possibilità di essere felici, invece se adesso pensiamo a macchine che prendono il nostro posto non è più una bella prospettiva o sbaglio.
Beh sì, il passo tra libertà e schiavitù è molto vicino.
Aiuto, io mi sembra di camminare tipo in una cristalleria quindi sicuramente romperò qualcosa e pestero il merdone, perdonatemi, ma comunque qualcosa di non corretta la andrò a dire.
Però in un contesto, nel contesto della industria dove ci muoviamo, mi viene anche da dire che una parte di questa perdita di felicità può venire dal fatto che noi lavoriamo con le macchine.
Ci pensavo prima con mia moglie, ragionavamo sul fatto che mia figlia ha portato questa ventata di felicità completamente strana e incomprensibile per due ingegneri.
Cioè tu metti due ingegneri in una stanza e metti un neonato, i due ingegneri iniziano a non capirci più un cazzo.
Anche a livello emozionale, non so se è una cosa di tutti i genitori o proprio perché sia un tecnico appena senti questa botta così pesante di emozioni che hai provato a riprimere da tempo, dici che cazzo sta succedendo? E quindi mi chiedo, lavorando tutti i giorni con delle macchine o con dei software o con degli algoritmi, in qualche modo che impatto ha nella nostra vita questo feedback loop? Io do un'istruzione, la macchina lo esegue, che mette da parte tutta la parte emozionale.
Noi ci stiamo isolando, stiamo relegando la parte emozionale in una serie di piccoli spot.
Perché stiamo costruendo questo feedback loop e da ingegneri cosa è amplificata? Perché lo facciamo anche al lavoro, noi scriviamo del codice e vediamo le cose che funzionano e le emozioni in quello che facciamo, sì, ci sono, ma non lo so, le vedo da parte.
È una visione sbagliata? Secondo voi sto dimenticando delle parti? No, secondo me hai perfettamente ragione ed è qualcosa che riesco a confermare quando viaggio per conferenze.
Quest'anno ho avuto l'opportunità di viaggiare molto di più e da un certo punto di vista ti dico, effettivamente confermo quello che dici, nel momento in cui viaggi vedi posti nuovi, conosci altre persone, sicuramente la qualità del tuo tempo cambia, perché è di questo che si tratta alla fine.
Dall'altra parte pone altri problemi, come ad esempio il fatto che sto soffrendo molto di essere estremamente da solo per moltissime parti delle mie giornate, perché viaggio, non conosco le persone, magari sono in aereo da solo per molte ore o sui mezzi, per cui diciamo che sicuramente il lavorare anche da remoto, che è una cosa che io ho desiderato tantissimo, non aiuta particolarmente.
Ma dall'altra parte, non so, in questo momento diciamo così, il nostro lavoro sicuramente influisce, ma esistono modi per evitare che questo accada e purtroppo non li adoperiamo così spesso come dovremmo, anche solamente facendo, sai, una volta al mese ci si vede tra colleghi o una volta ogni sei mesi, insomma riuscire a creare quel tipo di contatto che effettivamente soprattutto per noi che lavoriamo da remoto manca.
Ditemi voi.
Sbaglio avete inserito pian piano l'impatto che hanno le altre persone sulla nostra felicità, perché Mauro hai parlato di avere sempre più interazione con macchine e tra parentesi sottointeso meno con le persone.
Michele ha detto che soffre il fatto di essere da solo per la maggior parte del tempo, quindi mi chiedo se la felicità debba passare necessariamente dalle interazioni con altre persone, felici o meno.
Sempre pensando anche a quello che ha detto Michele mi è venuto in mente un video, un'intervista che fece Luciano De Crescenzo, che è uno dei miei ingegneri e filosofi contemporanei preferito, che dice che noi stiamo pensando troppo spesso a come allungare la vita, mentre invece in realtà dobbiamo lavorare per allargarla.
Quindi se tu vivi 60 anni ma stai chiuso 70 anni, stai chiuso nella tua cameretta, stai da solo, non fai niente, vivrai 70 anni, ma se viaggerai, conoscerai altre persone, farai tue le esperienze delle altre persone, leggerai libri, avventure o le farai tu stesso, ecco che i tuoi 70 anni diventano 100, 120 anni.
Questo concetto mi aveva fatto riflettere a suo tempo.
Però la domanda resta, le persone sono una componente essenziale per la nostra felicità oppure no? Posso risponderti con una citazione.
Allora, cito Aristotele, se uno entra nella città e pensa di poter fare a meno degli altri o è bestia o è Dio e a proposito di Dio non sappiamo se Dio è felice perché è solo.
Per cui personalmente credo che molta della felicità arrivi dall'interazione con gli altri, se questa è la domanda.
Ma qua mi piacerebbe invece introdurre un altro concetto perché a realtà anche questo credo che sia un qualcosa di culturale, nel senso che conosciamo invece delle culture dove questo non avviene, ovvero se pensiamo al buddismo o all'induismo dove la pratica di essere monakos, quindi essere soli, è una pratica comune per raggiungere la felicità più alta, allora come sempre dobbiamo contestualizzare il luogo e il tempo del quale parliamo.
Ad oggi nella nostra società secondo me siamo in grado di essere felici, soprattutto se siamo con altre persone, ma ciò non significa che l'essere umano è nato per essere così, visto che in altre culture questo non necessariamente accade.
Sai, a proposito di questa cosa voglio collegarmi a un ragionamento che facevo proprio l'altro giorno, dopo che, proprio l'altra notte dopo che abbiamo fatto la nostra chiacchierata, sono tornato in camera un po' al tizio e pensavo, ma se io misuro la mia felicità in funzione dell'impatto che ho con gli altri, che è un modo diverso ma fondamentalmente per dire la stessa cosa, quanto sono io che sto misurando la mia felicità e quanto invece sono gli altri e il contesto che la misurano per me.
Ma perché bisogna di misurarla? Perché da uomo e da ingegnere la percezione, per avere percezione, sei tentato, tendi a misurare questa percezione, perché la felicità, mi immagino, non sia una cosa o bianca o nera.
Dipende, dipende come la, come dire, dipende come la interpreti.
Adesso magari che ci siamo scaldati posso dare la mia definizione e non credo sia misurabile, per questo te lo dico.
Cito sempre dal talk che ho fatto a Code Motion.
La mia idea, almeno la definizione su cui mi sento più, come dire, d'accordo in questo momento, che sento più mia, è la definizione greca di eudaemonia, per cui parola composta eu, che significa buono, buona riuscita in realtà, e daimon, demone.
Qui ci insegnano che quello che abbiamo dentro, adesso chiaramente ancora una volta dobbiamo contestualizzare, naturalmente non è il demone giudaico cristiano, ma chiamiamola pure virtù, chiamiamola pure il nostro spirito, non so, quello che vuoi.
Nel momento in cui realizzi quindi la buona riuscita, quando realizzi il tuo demone, che è quella vocina che è nella testa che ti fa fare le cose che ami, nel momento in cui arrivi a questa realizzazione, allora, quella è la felicità, tant'è che eudaemonia significa letteralmente felicità, si può tradurre in questo modo, e proprio nei testi grechi troviamo che più volte si fa riferimento a come l'eudaemonia, questo stato, come lo scopo ultimo della propria vita.
Non so dirti se questo è lo scopo ultimo della mia vita, ma so che ci assomiglia molto.
Sì, per cui tu dici che alla fine la felicità ha una componente personale e non correlata con l'impatto che è negli altri, definendo questo demone, questo senso della vita.
Sai che però per noi, per me almeno, che penso di incarnare il concetto di occidentale per eccellenza, mi suona veramente strano, cioè per me la felicità, correlata anche con quello che faccio, è di due nature, c'è la felicità endogena, quindi quella che genero dentro me stesso, e c'è la felicità esogena.
Subito dopo la nascita di Lambda, per esempio, lo so faccio il padre pancino della situazione, abbiate pazienza.
Si, però in realtà una cosa che ho fatto, ho fatto una premessa, ho detto che per me una misura della felicità, un generatore di felicità, è la percezione mia dell'impatto che sto avendo sulle altre persone, per cui è completamente esogena, perché è completamente correlata alla reazione che le altre persone hanno delle mie azioni, e tipo questa cosa è una delle cose che mi hanno spinto a fare il podcast, che mi hanno spinto a fare mentoring per quello che posso fare, quindi che mi spingono tutti i giorni a fare il papà.
Però tu evidenzi anche la parte endogena e devo dire che avendo passato tanti anni in completa solitudine, cioè io ho passato anche settimane senza vedere nessuno chiuso a casa, capisco che ci sono dei trigger, ma non mi sono mai sentito veramente felice come quando ho iniziato a interagire pesantemente.
Per cui la percezione, la domanda che vi faccio è, nella ricerca di una percezione endogena, stiamo tagliando fuori una certa felicità che invece ci arriva dalla parte esogena, esterna? Il problema che vedo nella tua domanda è che ragioniamo sempre come dei programmatori, ma no, in realtà come esseri umani in termini binari o in termini bipolari, per cui o è endogena o esogena, o è bianco o è nero, o è così o cos'ha.
Io posso dirti la verità, ho iniziato a essere felice quando ho smesso di ragionare in termini binari e di questa cosa, anche se non mi riguarda in primissima persona, bisogna ad esempio ringraziare tantissimo la comunità LGBT, perché ci sta insegnando che non sei o etero o omosessuale, ma esistono tanti spettri, uno spettro di sessualità in quel caso, ad esempio, e questo in realtà ci insegna che non è tutto bianco o nero e continuare a credere che una cosa debba essere necessariamente giusta o sbagliata, o sei sposato o sei single, o ami una persona o non l'ami, o ami una persona o non ne puoi amare altre.
Insomma ci sono una serie di, mettiamola così, di idee che entrano in contraddizione tra di loro e noi abbiamo imparato a non accettare la contraddizione.
Io ti dico, per quanto mi riguarda, e qua cito Terence McKenna, se non entri mai in contraddizione con te stesso il tuo pensiero non è sufficientemente complesso e non puoi accettare di vivere una vita dove il tuo pensiero è così semplice da essere compreso immediatamente.
Per arrivare ad essere felici e vivere le nostre contraddizioni, vivere il nostro bipolarismo o la nostra schizofrenia, la chiamiamo come vogliamo, evidentemente dobbiamo essere in grado di conoscere noi stessi e quando ci conosciamo finalmente, almeno per quanto mi riguarda, ho trovato un sacco di contraddizioni, un sacco di bipolarismo o di pensiero binario che non ha fatto altro che trattenermi per 27 anni.
Per cui tu dici in questo caso abbracciamo le nostre contraddizioni però il problema della ricerca della felicità comunque rimane.
Per cui noi ci apriamo a ciò che ci circonda, facciamo anche un'analisi interiore però alla fine una volta fatto questo la raggiungiamo sta felicità? Adesso sto facendo proprio l'informatico nel senso una volta che io ranno il codice funziona.
Sai quando è che non la raggiungi? Quando non conosci te stesso e ti dai un obiettivo o parliamo un attimo ancora in termini che ci semplifica se pensiamo al demone che abbiamo, dobbiamo realizzarlo cioè io vivo per questa cosa qua, questo è il motivo per cui vivo.
Se io voglio essere uno sportivo e voglio essere a tutti i costi bravo come quello sportivo là, io magari non ho quelle capacità e mai le avrò, non ho la fisicità per arrivare a quel livello, non ho la concentrazione, non ho la possibilità di farlo, allora la felicità non la troverò mai perché mi pongo un obiettivo che è decisamente oltre i miei limiti e i limiti per definizione sono qualcosa, matematicamente parlando, che non possono essere superati e noi viviamo ancora, qua mi sento critico, in una società che continua a ripeterci che i limiti vanno infranti, che i limiti vanno superati, che dobbiamo andare oltre i nostri limiti.
No, dobbiamo uscire da questa narrazione qua per cui i limiti a tutti i costi sono qualcosa da superare.
Il limite è il punto di arrivo, è la fine di un percorso, non è una barriera.
Noi confondiamo i limiti con gli ostacoli, quindi mi chiedi, la troveremo poi la felicità? Sì, quando conosci te stesso e abbracci i tuoi limiti e capisci dove dovrai arrivare, perché il limite è il punto d'arrivo.
Questo è un bel punto, in realtà non saprei ribatterti, ma mi porta alla mente un ragionamento che ho fatto da poco, sentendo proprio un video di Galimberti che parlava di questo argomento e ha citato Epicuro, che era un filosofo greco.
Io non ho mai studiato filosofia a scuola, perché ho fatto il tecnico, quindi quel poco che so di filosofia me lo sono letto, per cui se dico cazzate, tipo ho lanciato la scarpa da remoto, però in realtà proprio in funzione della paternità è stimolato da un'industria che è la nostra, che corre come una forsennata e ci mette costantemente alla prova e ci mette ogni giorno davanti ai nostri limiti.
Mi è venuto da pensare un po' in stile Epicuro, cioè provare a capire veramente che cos'è la ricerca della felicità in funzione di quello che stiamo facendo, cioè di cosa abbiamo bisogno, questa felicità come si raggiunge, come è raggiungibile la felicità.
La cosa figa di Epicuro, in realtà che mi ha gasato tantissimo ed è stata la base di alcune decisioni che ho preso questo periodo, è stata quella di ragionare in termini di bisogni.
Siamo esseri umani e in realtà uno dei trigger della felicità è la soddisfazione di alcuni bisogni che possono essere di natura materiale o non materiale.
Però Epicuro diceva che ci sono i bisogni necessari che vanno assolutamente soddisfati, che sono quelli di mangiare, di dormire e io ci aggiungo anche quello di copulare, per ovvie ragioni, ma oltre a questi ci sono i bisogni naturali e non necessari, che sono tipo mangiare un piatto preferito o fare una serie di attività che ci provocano piacere, che sono comunque naturali, insiti nell'uomo, ma possiamo anche vivere senza.
Epicuro dice, vabbè, fermati un attimo Mauro, ci sono questi bisogni, tu li devi soddisfare in modo che tutti tiri fuori i desideri e siano trigger di felicità, ma nel contempo stare molto attento al fatto che possono essere addictive, possono essere tossici alla fine, se fuori misura.
E questo per esempio entra nel frame che dici tu, no, della comprensione del proprio limite.
Ci aggiunge poi anche i bisogni non naturali, che sono quelli guidati dalla società.
Raga, nel gruppo si parla di RAL, ok? Il 90% delle discussioni sono guidate da un driver di una necessità che non è naturale e talvolta, oltre a una certa soglia, non è neanche necessaria, no? Buona parte della nostra vita consumistica è guidata da questo.
Epicuro diceva, hey, molti di questi, se non tutti, sono gli elementi che in realtà vanno a controbilanciare la felicità, quindi portano inquietudine, portano tutta una serie di frizioni anche nel confrontarsi con l'altro.
Per cui, a partire da questo discorso, perché tutto questo pippone che ho spiegato malissimo, tutto questo discorso è che probabilmente noi che proviamo a cercare la felicità, un ragionamento che dobbiamo fare può essere quello di iniziare a togliere al posto di aggiungere.
Iniziare a togliere una serie di elementi.
Per esempio, una cosa su cui mi sto impegnando tantissimo è iniziare a togliere quella competitività che io ho intrinseca in me stesso.
Io vengo da un mondo che è molto competitivo, nasco e cresco in un contesto molto competitivo, e anche in una famiglia che mi ha spinto alla competitività.
Per cui, per me era un peso, nel momento in cui ho imparato a controllare quella competitività, diciamo, mi sono sentito meno triste.
Non dico che sono stato felice, ma mi sono sentito meno triste.
Secondo voi, nella nostra industry, questo concetto di competitività può essere controllato? Magari faccio rispondere Luca, che mi sembrassero di rispondere sempre io.
No, no, ma vai pure tu tranquillo, perché...
Ok.
Vai tranquillo.
Prima, innanzitutto, rispondo al tuo discorso quando dici che togliere cose può renderti più felice.
Stai entrando in un terreno terribilmente buddista, citando il Buddha originale, se apriamo le mani possiamo ricevere ogni cosa, se siamo vuoti possiamo contenere l'universo.
Per cui, sicuramente, quello è un modo.
Dopodiché, se parliamo di competitività, ci tenevo a risponderti su quel punto perché sono assolutamente d'accordo con te.
Dopodiché, se parliamo di competitività, io mi rifaccio completamente al discorso dei nostri limiti.
C'è un fetish incredibile nella nostra industry nell'entrare in Meta, in Google, in Amazon.
Va bene.
Voglio dire, mi sembra che il turnover sia abbastanza alto, mi sembra che tutto sommato la gente non ci rimane lì tutta la vita.
Per cui capiamo un attimo se è veramente quello che vogliamo fare.
Io ciò ho provato, non ci sono mai entrato, solo in un'azienda ho ricevuto qualche offerta.
Per me non è importante.
In questo momento, io personalmente non mi sembra di avere niente da dover dimostrare, non perché ho raggiunto chissà quali vette, ma perché semplicemente non mi va di avere qualcosa da dimostrare.
Puoi dirmi che sono scarso, va bene, sono scarso, va bene, è così.
Qual è il problema? Vivo lo stesso, viaggio lo stesso, il mio lavoro lo faccio, chi se ne frega.
Io ho un grande problema con la competitività in questo momento, nel senso che è vero che nel nostro ambiente ce n'è tanta, ed è vero che sto diventando sempre più insofferente alla questione, per cui tendenzialmente mi divincolo da questo tipo di discussioni quando possibile.
Beato te, io in realtà, l'ho detto prima, io sono cresciuto in un ambiente altamente competitivo, per dirvi, vi racconto questa storia, non so se l'ho mai raccontata a qualcuno, ma il mio diploma alle superiori, sapete no, in casa tutti i genitori vorrebbero il meglio dei propri figli, io mi impegnavo a scuola, dico la verità, e quando andavo a scuola, insomma, davo un po' il massimo di quello che potevo dare, tornavo a casa con delle robe normali, tipo il 6, il 7, siamo esseri umani, talvolta anche il 5, no? E quando prendevo anche voti alti, tipo l'8, tornavo a casa e papà mi diceva, eh ma puoi fare di più.
A me questo puoi fare di più, che è insito poi nella nostra dannata cultura, perché tutti i genitori l'hanno detto, è bravo ma non si applica, puoi fare di più, triggerava questa competitività che era bifaccia, è un po' una competitività che mi sono anche trovato quando sono entrato in questa industria, no? La competitività con te stesso e la competitività con gli altri.
Allora, la competitività con te stesso è pericolosissima, perché genera frustrazione e insoddisfazione, se non saputa gestire.
Però è anche uno strumento che ti permette di raggiungere grandi obiettivi, perché a me, cioè la competitività con me stesso e con mio papà mi ha portato poi quando mi diplomai col 100, più una postilla sul diploma perché ero preso bene dall'informatica e avevano apprezzato questa mia cosa, portai il diploma a papà e gli dissi, papà adesso me lo dici, si può fare di più.
E cazzo, non gli ho detto cazzo in faccia, ma era palese, no? Però come sono stato io lungo tutto questo percorso? Dovevo gestire due competitività, la prima era con me stesso, la seconda era la competitività con gli altri e questa cosa l'ho gestita anche nella nostra industria, lavorando.
Mauro, devi fare di più, cazzo, devi imparare a Askel, lo so ti sto provocando, mi chiami paziente, devi imparare a tutti questi Askel, ma non ci riesco, è più forte di me, ci provo, non ci sto riuscendo, ma devi impegnarti di più, frustrazione, burnout.
Questo è l'outcome, no? Competitività con gli altri rischia di sfociare invece in un amplificatore di invidia, che è una delle cose più brutte e schifose che ci possono essere, no? Ma perché cazzo lui ci riesce io, no? Cosa ha lui più di me? Perché chiunque l'ha pensato.
Ma certo, stai rientrando nel discorso che facevamo prima sui propri limiti, però.
Eh, lo so, esatto, e sai cosa ho pensato poi? Cosa sto pensando adesso che penso di aver raggiunto un livello un pochino superiore di maturità, la strada è veramente lunga, che è questo livello di competitività mi ha sottratto pienamente il piacere del viaggio.
Cioè io per colpa di un obiettivo da raggiungere a tutti i costi, da nazione, io mi son perso proprio il piacere della scoperta, del viaggio.
Eh ma cazzo, dal mio punto di vista adesso, da Mauro, quasi quarantenne, la felicità stava là e io l'ho persa.
La felicità stava provare Askel solo per il gusto di provarlo, senza dire devo riuscire a fare questo script in Askel.
Il piacere della scoperta.
E questa può essere la nuova sigla di Ulisse, no? No, ma hai assolutamente ragione ed è proprio questo il concetto.
Allora, questa volta ti faccio io una domanda per collegarmi.
Una volta che hai realizzato questo concetto, che è sacrosanto per quanto mi riguarda, tu ad oggi ti senti felice? Non avendo una chiara distinzione della felicità, perché allora, distinguiamo, ok? Secondo me esistono diversi tipi di felicità.
Una domanda come quella che mi stai ponendo mi chiede se esiste una felicità stabile.
Quella che Epicuro definiva una felicità stabile, cioè una volta che l'hai raggiunta è un qualcosa che puoi tenere, continuo nel tempo.
Ecco, io non ho raggiunto questo tipo di felicità, ma ho raggiunto una serie di gioie, che sono una figata.
Io devo essere sincero, quando a Code Emotion ho incontrato una parte della community, cioè io ragà ero tipo un bambino che scartava il Game Boy che aveva tanto desiderato e quella per me era, non era una gioia perché contenuta in un certo momento, ma era proprio, la potevo definire in termini di impatto, una felicità.
Perché? Perché mi ha fatto capire che in qualche modo per quanto piccolo contenuto il mio impatto nel mondo e in ciò che mi circondava, lo stavo dando, qualcuno che apprezzava quello che faceva e riteneva importante quello che faceva e quello che facciamo c'era, e per cui, uomo più felice del mondo in quel momento, e ve l'ho detto a entrambi, sono arrivato a un certo punto che non capivo più un cazzo a Code Emotion, ho detto ragà, sono fatto, a cena, non so se ve lo ricordate, non sto più capendo niente, io sono andato e non avevo bevuto il giorno.
E' così, quindi sì, se per me la felicità, se ragioniamo in termini di felicità contestualizzata, quindi di gioie, sì, le vivo continuamente, sono nella continua ricerca e spesso le trovo quando mi spoglio di qualche cosa, per esempio la competitività.
La felicità non so se l'ho mai vissuta, se l'ho vissuta non ne sono stato consapevole, bel coglione, perché molti di noi è possibile che la vivano ma non ne siano consapevoli o abbiano l'opportunità di vivere e non essendo consapevoli la perdano, quindi credo di non averla mai vissuta con piena consapevolezza.
Ma è possibile essere felici e non accorgersene? Sicuramente dobbiamo fare un distingo, ovvero siamo felici molte volte neanche lo sappiamo, sì, secondo me sì, però quando pensiamo al passato e diciamo ero felice e non lo sapevo, in realtà è il modo che abbiamo di ricordare le cose, è un forte meccanismo di difesa che abbiamo, tiriamo via tutto lo schifo che abbiamo passato e vediamo le cose belle, perché altrimenti non vivremo più, perché tutti quanti abbiamo avuto un passato che vorremmo dimenticare in un certo momento, immagino, nessuno ha vissuto in una sfera di cristallo per tutta la vita.
Per cui il mio concetto fondamentale ed è qualcosa che ho imparato in una situazione veramente troppo particolare, che poi se volete approfondiamo, è la capacità di vivere l'assoluto presente, di dire in questo momento, in questo istante, non prima e non dopo, adesso, sono felice sì o no? Ed essere in grado di capirlo risponde alla tua domanda, perché è vero, magari lo siamo e non ne siamo consci, ma se ci soffermiamo sul presente significa che non stiamo paragonando al passato, non stiamo facendo piani sul futuro, ma in questo momento è sì o no? E ancora, entro ancora una volta in contraddizione, in questo momento io sono felice sì o no? Sì, tantissimo, sono anche tristissimo.
Com'è possibile? Abbraccio questa mia contraddizione, si può essere entrambe le cose, io non vivo più e mi rifiuto di vivere in un mondo che ragiona in termini binari.
Prego a chi ascolta, ma ovviamente lo sanno già tutti quanti, non mi riferisco naturalmente a, come dire, sessualità, piuttosto che genere, eccetera, ma un discorso molto più ampio di questo.
Io mi rifiuto di vivere in un mondo che sia estremamente bipolare, o così oppure no.
Io posso essere entrambe le cose.
E allora, siccome l'industry è uno degli strumenti, a Code Emotion ho rotto le balle a tutti, anche nel meetup aziendale, ho rotto le balle a tutti su questo, cioè da ingegneri e da industry che sta diventando sempre più importante a livello anche di impatto nel mondo, noi ci stiamo un po' lavando le mani.
Una cosa che ho ripetuto più volte è il fatto che nel 600, nei tavolini dei bistrò, i medici, i sacerdoti e i notai, o gli avvocati, si incontravano nel tavolino del bistrò per parlare di queste cose e dell'impatto sulla società.
Per cui tu dici, io mi rifiuto di cercare di analizzare le cose in modo binario.
Io in qualche modo faccio uno sforzo simile, anche perché vivo in una famiglia dove la diversity è uno dei pilastri fondamentali della mia famiglia.
Ma a livello di industry, come possiamo fare per veicolare questo messaggio senza banalizzarlo e quanto ci stiamo lavando le mani in funzione di questo? Lo stai già facendo tu molto bene in questo momento.
Bisogna solo iniziare a parlarne e dire le cose ad altavoce.
La verità, sai qual è? E qua è un discorso molto personale, ma la verità è che, per quanto mi riguarda, la mia verità, che potrebbe essere falsa allo stesso momento naturalmente, è che tante volte tante cose non le diciamo ad altavoce perché abbiamo paura di sapere cosa ne pensiamo veramente.
Finché non dici qualcosa ad altavoce, ma rimani lì.
E dire certe cose in un podcast è già un contributo enorme.
E riuscire ad entrare ancora più nel profondo della questione, a dire, non so, naturalmente in questo momento diciamo che per quanto riguarda il lavoro mi sembra un argomento abbastanza superficiale da trattare, nel senso che è molto rilegato alla nostra industria, ma parlando in un tema più ampio, se parliamo ad esempio di relazioni, e non andrò troppo nello specifico, ma abbiamo visto che ultimamente si riesce a creare una famiglia o si riesce comunque a vivere relazioni che non siano quelle tipiche monogame, ad esempio.
E io ti assicuro, tante persone hanno paura a dire, ho questo desiderio, cioè ho il desiderio di uscire da questo schema binario, tante persone hanno questa paura e non lo dicono ad alta voce.
E quando lo dicono ad alta voce la prima volta, è il momento in cui decidono che è arrivato il momento di affrontare un discorso.
Ma la stessa cosa con mille altre cose, naturalmente, non parlo solo di...
credo che sia così in tutto, in generale.
Cioè uscire dalla logica binaria bisogna parlarne ad alta voce sempre.
Ed è qualcosa che io sto cercando di fare, perché è qualcosa che a me personalmente ha cambiato la vita.
E con questo io cala il silenzio, perché in realtà è un ragionamento molto profondo.
Devo dire la verità, ci ho pensato a lungo prima di portare questo episodio.
Nel senso che ero sicuro che la nostra audience avrebbe capito, e sono sicuro che la nostra audience capisca.
Nel contempo però è un argomento talmente tanto sfaccettato e ricco di contraddizioni, che spaventa anche chi è così sicuro di volerlo affrontare.
Capisci? Bravo, hai ragione.
Hai ragione, ma è per questo che bisogna parlarne.
È per questo che bisogna normalizzare il fatto che si possa parlare di tutto se il contesto naturalmente lo permette.
Per esempio non mi mettere mai in questo momento a fare battute omofobe, perché è una stronzata, non è il contesto e non sono la persona che può farlo.
Detto che nessuno dovrebbe farlo, naturalmente, però sto estremizzando ovviamente, no? Ma ci sono dei concetti che possono per qualcuno essere una chiave di lettura per la propria vita e ci sono tante persone come me che hanno sofferto tanto l'essere rinchiusi in una logica dove tutto è bianco oppure nero, che quando esci da questa logica la tua vita è cambiata così tanto e ancora non parlo solo di relazioni, non parlo solo di vogliamo toccare veramente un argomento pesante, poi al limite la tagliamo naturalmente.
Andrò giù dritto, parliamo anche di droga? Io non ne faccio uso, lo sai benissimo.
La tagliamo dipende, cioè.
Esatto.
Sai benissimo Mauro che non ne faccio uso.
Un po' di erba ogni tanto, questa è l'unica cosa che posso dire, ma non è tutto bianco o nero neanche in quell'ambiente lì.
Bisogna parlarne perché la gente ne fa uso, allora capiamo perché, capiamo qual è il motivo, capiamo se veramente è un male, se veramente è un bene e già porsi la domanda significa ragionarci per una cazzo di volta senza che ci arrivi dall'alto il fa male, fa bene, è giusto e sbagliato.
Poi è ovvio che clinicamente fa male, ma capiamo cosa stiamo sostituendo.
Parliamone.
È chiaro, sai qual è il problema in realtà che si collega bene anche al contesto della nostra industria? Il vero problema in realtà è che noi abbiamo una fottuta paura del giudizio e già quando le cose sono bianche e nere tu hai in qualche modo un punto di riferimento per muoverti nel frame del giudizio, cioè dici ok se io mi comporto in questo modo la società la vede o bianca o nera per cui se mi sposto sul bianco generalmente in linea di massima il giudizio prende in questa direzione, ma là dove non c'è una chiara posizione di ragione o torto o di bianco e nero, di giusto e sbagliato, cazzo ti stai muovendo al buio con la paura che qualunque decisione tu prenda il giudizio ti torna indietro come un boomerang perché siamo delle cazzo di vittime del giudizio.
Hai ragione, hai ragione, non ci sto più, non ci sto più in questa logica qua.
Io personalmente non posso più vivere pensando continuamente a questa cosa qua, che non significa che non ho paura del giudizio perché ce l'ho lo stesso, però basta.
Arriviamo da un weekend che abbiamo fatto insieme, ci siamo conosciuti, abbia riso tantissimo, almeno io mi sono ubriacato tantissimo, tutto quello che vuoi.
Vi dico solo che io Michele l'ho visto di persona una settimana fa, dopo quattro ore ci eravamo già dati i soprannomi.
Io vi dico che Mauro ha perso la voce, parlava come Milhouse e se ci penso ancora piango dal ridere.
No però è questo, cioè il riuscire a confrontarsi in un frame dove non c'è giudizio ed è il motivo per cui ecco questa puntata stranissima di Gitbar, unica, probabilmente scioccherà qualcuno questo topic, però il motivo è quello e per cui mi viene da chiedere Luca tu che ti confronti tutti i giorni con lo stesso mondo nel quale ci confrontiamo noi che è schizofrenico, un po' impazzito, come ti poni nei confronti del giudizio? Storicamente ho sempre avuto una paura fottuta del giudizio, motivo per cui sì, come diceva Michele sicuramente ho passato un periodo di repressione, reprimere quelli che erano i miei pensieri, il mio essere, paura di mostrarmi per quello che ero, per come lo ero.
Per quanto riguarda la nostra industria fortunatamente ho avuto esperienze diverse per cui forse ero felice, non lo sapevo, chi lo sa, però non ho mai sofferto della competizione, non ho mai sofferto dell'essere in competizione l'uno con l'altro, ma sempre la paura di essere giudicato è sempre stato un sottofondo, una nota stonata nella mia vita, me ne sto accorgendo adesso perché adesso ne abbiamo parlato e ne stiamo parlando.
Qual era la domanda? No hai disposto fondamentalmente, è come ti confronti proprio nel rapporto col giudizio.
Sto imparando, ho imparato soprattutto perché dovevo insegnare anche e devo insegnare anche ai miei figli a non avere paura del giudizio, è il modo migliore per insegnarlo e dare l'esempio.
Vi faccio una domanda, il giudizio, quanto mi pesa questa domanda, il giudizio così come il concetto di felicità può essere endogeno, cioè il giudizio che tu dai verso te stesso e il giudizio che dai verso gli altri.
Un lavoro che sto facendo io pesantemente è quello di controllare il giudizio che do verso gli altri e se devo esprimere un giudizio farlo in modo che generi valore per l'altro e che non si affine a se stesso, quindi è un po' un'auto frustrazione, un autocontenimento, è un limitare la libertà.
Ma come ci si pone nel momento in cui si rilascia il concetto di bianco e nero con la propria posizione, la propria idea e l'altro? Si può ancora esprimere un giudizio o in quel caso ci spogliamo anche del giudizio che poi è al di là dell'impatto, è un modo con il quale noi modelliamo ciò che ci circonda.
Ma perché bisognerebbe spogliarsi del giudizio? Voglio dire, dipende anche poi di cosa stiamo parlando, perché ci sono giudizi di cui bisogna tener conto, che è magari quello professionale, cui obiettivamente c'è un problema, un giudizio obiettivo, ti faccio una code review, quello è un giudizio obiettivo, devi starci, te lo accolli.
Il grande problema sono i giudizi morali, per cui nel momento in cui entri in un mondo di contraddizioni, in un mondo non più binario, ma dove esistono altre cose, allora il giudizio morale si fa veramente forte e lì devi essere tu forte a imparare a gestire il giudizio altrui.
È il giudizio che dai tu negli altri? Come fai a contenere un giudizio morale? Cioè qual è il percorso dal tuo punto di vista? È una domanda difficilissima.
Cosa dovrei giudicare io in una persona? Esatto, cioè riesci a spogliarti completamente del giudizio morale degli altri? E che percorso in qualità di uomo, scusate fare le puntate dopo cena è anche questo, in qualità di uomo che percorso devi fare per liberarti del giudizio? Devi conoscere te stesso, devi ammettere a te stesso che esistono in te delle contraddizioni e ti devi liberare del tuo pensiero e finalmente abbracciare quello che sei e nel momento in cui tutto ciò che tu hai sempre giudicato di te stesso diventa parte della tua vita, allora capisci che anche negli altri è così.
Io adesso magari parlo con te Mauro, naturalmente sparo a caso se scopro che fai qualcosa di morale.
Di morale per chi? Di morale per me? Per me che voglio dire, io personalmente adesso non mi va di dirlo ad alta voce, ma voglio dire comunque vivo una vita che per qualcuno potrebbe essere altamente morale e allora io devo venire a giudicare te.
Capisci che non ha senso.
Lo so, ma è il ragionamento che io faccio su me stesso e dico ma alla fine, perché una domanda vi giuro che mi pongo tutti i giorni, ma alla fine questo mettere da parte una certa porzione di giudizio e poi è sempre difficile tracciare i perimetri del giudizio da mettere da parte perché siamo fallibili in quanto esseri umani, non mi importa essere relativista, cioè che tutto è giusto, tutto è sbagliato sempre e comunque e quindi spogliarmi di un'interpretazione del mondo che mi circonda.
Perché raga è complicata questa cosa, io vi giuro sono arrivato a un certo punto dove dicevo no io non giudico nessuno, non giudico più nessuno, uno fa una cazzata, io non giudico, uno ammazza un bambino e io mi chiedo perché l'ha ammazzato, cos'è successo, la famosa analisi da sociologo della terza persona, esci fuori dal contesto e provi a fare una lettura più oggettiva che poi che non sarà mai oggettiva, però ti sforzi e alla fine non lo so sto diventando relativista, la mia domanda era sto diventando relativista, sto perdendo qualcosa, sto perdendo il mio essere umano, sto tagliando fuori una parte di sensazioni, di emozioni che potrebbe essere importante? Se senti di vivere reprimendo idee che hai, secondo me sì, dopodiché giudicare dal punto di vista morale naturalmente se si sente di infanticidio ovviamente c'è un giudizio, ma perché è qualcosa a cui non sei mai pronto, tu potresti essere nella situazione di leggere sul giornale quella notizia cento volte e non essere mai pronto, neanche una volta.
Ma è una questione culturale comunque? No, non è una questione culturale, la preservazione della specie non è più una questione culturale.
L'omicidio, l'omicidio, ok? Seicento anni fa se tu non cedevi il passo a un uomo che era di un'estrazione di un cetto superiore al tuo, lui aveva tutto il diritto di farlo e in quella cultura quell'omicidio non era giudicabile come qualcosa di eticamente abberrante, no? Allora anche il diritto d'onore negli anni ottanta.
Ma è una questione di tipo culturale, per cui se noi ci stiamo spogliando del bianco e del nero dovremmo anche spogliarci di questo frame culturale imposto da un contesto perché stiamo provando ad andare oltre.
Sì, assolutamente.
E anche questa è una contraddizione.
E' una contraddizione perché quando senti di un pedofilo o di un infanticidio o di un femminicidio a me sale il crimine.
Ma assolutamente, ma scherzi.
No, alla grande.
E quindi giudico, cazzo.
E quindi do un giudizio morale.
Certo.
E però sta su un frame culturale del quale mi vorrei spogliare e non riesco.
Ma il fatto è questo, è che uscire allo scoperto per ciò che siamo non significa non avere più morale, ma significa avere una morale diversa che poi può avere elementi di condivisione che io e te assolutamente abbiamo.
Se sento di femminicidio, se sento di infanticidio, assolutamente sono dalla tua parte al mille per cento.
Non significa che io non abbia una morale.
Significa che io non condivido certe idee o non condivido certi modi con cui sono cresciuto.
Per quanto mi riguarda il giudizio verso l'altra persona che vive la propria vita secondo una morale che non è la mia, per me non ho nulla da giudicare.
Vuoi alzarti alle sette? Io vedo gente...
Ok, io sono stato a Amsterdam tantissimo quest'anno, fortunatamente, e spero di tornarci presto.
È certo che alle sette di mattina c'è gente che fuma già fuori dai coffee shop.
E valla a spiegare a un italiano che non è mai stato ad Amsterdam, magari che neanche è troppo d'accordo con l'utilizzo di cannabis.
Giudica.
Dal mio punto di vista, io ero uno di quelli che giudicava fino a cinque anni fa, sei anni fa.
Invece adesso ci vado, li vedo e dico, vabbè, buon per loro.
Io non ce la farei alle sette di mattina.
Ma se lo fanno e se gli va bene, chi se ne frega? Buon per loro.
Qual è il problema? È questo quello di cui parlo.
Magari un passo potrebbe essere quella di sforzarsi di giudicare, se proprio vuoi giudicare, se proprio non riesci a reprimere il desiderio di giudicare, il comportamento o l'atteggiamento, ma non la persona.
Perché se giudichi il comportamento o l'atteggiamento, stai giudicando un fatto che può essere oggettivo.
L'omicidio è sbagliato, sempre.
La violenza, insomma, tutto quello che vuoi.
Giudicare invece la persona non lo devi fare, perché farlo significa dover avere una panoramica molto più grande.
Perché questa persona alla fine è violenta o ha fatto quello che ha fatto, qual era il suo passato, cosa ha subito.
Insomma, tante cose che non ha senso né è possibile giudicare come persona.
Però l'atteggiamento o il comportamento, essendo meno legato alla persona, è già più facile da giudicare.
E molto spesso, a volte, giudicando l'atteggiamento o il comportamento, ti rendi anche conto che non c'è nulla di male.
Non c'è nulla di male, mettiamo le classiche cose su cui sono contro i cristiani, i cattolici, i romani.
Molto spesso si giudicano delle persone che alla fine qual era il loro comportamento, quello di amarsi.
E allora, giudichiamo il loro amore? Cosa c'è da giudicare? A prescindere che non c'è nulla da giudicare.
Questo è evidente.
Però il discorso è sempre quello.
Una persona che giudica, o diciamo le cose come stanno, una persona che odia altre persone per qualcosa che gli hanno detto, cioè ho letto in un libro che quella cosa è un abominio, e quindi è un abominio e quindi li odio.
Cioè, di cosa stiamo parlando? Qual è l'idea di questa persona? Qual era l'idea che aveva prima? Qual è l'idea che si è fatta mentre leggeva? Il discorso è proprio questo.
Molti temi, soprattutto quelli divisivi, vanno affrontati da un punto di vista personale.
Per quanto mi riguarda senza influenze di nessun tipo.
Il grande problema è quello.
Per me, io non sono una persona religiosa e non mi piace l'influenza che la religione cattolica ha avuto su di me.
Io posso parlare solo e esclusivamente per me.
Ciò nonostante, fortunatamente non ha lasciato tracce di nessun tipo.
Non esiste una singola traccia che abbia lasciato su di me e ne sono contento.
Però ho fatto un percorso lunghissimo per uscire da tanti schemi.
Perché la religione cristiana, ad esempio, adesso io prendo questa come esempio e non voglio offendere nessuno, sia chiaro.
Non prendetelo in modo offensivo.
Ma per come siamo nati noi, o magari come è nato un induista in India o un buddista, o un confuciano in Cina, non lo so.
Non è più una religione, è un inconscio collettivo.
È una parte fondante di tutto ciò che siamo e il modo in cui pensiamo.
Che ci piaccia? No, è così.
Perché siamo nati e cresciuti in questo contesto.
E uscire è difficile.
Hai ragione da vendere.
Te lo dico da una persona che vive una condizione familiare dove per esempio tante contraddizioni si palesano.
Il fatto che comunque la famiglia di mia moglie e mia moglie siano musulmane.
Io ho scoperto per esempio le barriere calare completamente nel momento in cui al posto di spogliarmi di un frame che era quello cattolico cristiano, che siamo italiani in quanto italiani anche se non facevamo il catechismo, comunque quel tipo di cultura ce l'abbiamo.
Quindi anche se tu non vai a catechismo, non fai sacramenti, tu sei cattolico se vivi in Italia.
Certo.
Se vivi in Europa.
Esatto.
Se sarai un cristiano se vivi in Europa.
Perché quella cultura ti ha plasmato.
Però cosa succede se tu fai esattamente quello che hai fatto tu, no? Cioè abbracci il senso della scoperta, l'apertura alla scoperta che è un po' quello che ho fatto io leggendo tutto il Corano.
Stai facendo, stai abbassando da una parte le protezioni.
Stai cercando, ne ho parlato con alcuni di voi a Code Emotion, stai cercando i punti di contatto con l'altro, col diverso, perché il diverso di per sé ci terrorizza ragazzi.
Siamo esseri umani, in quanto umani siamo animali e tendiamo a proteggerci dal diverso.
Non lo riconosciamo come simile e in quanto animali abbiamo paura e ci dobbiamo difendere.
Ma se tu costruisci un primo livello di elementi in comune che ti permettono di abbassare le protezioni e una volta abbassate le protezioni, visto che praticamente sto raccontando la mia storia matrimoniale in questo passaggio, una volta che hai abbassate le protezioni abbracci il diverso con il senso della scoperta continua e minchia, non di uno sviluppatore migliore ma diventi anche un uomo migliore, una donna migliore o una persona migliore.
Sono assolutamente d'accordo, assolutamente.
Ci sono diversi modi per farlo in realtà.
Dopo che ho fatto il talk a Code Motion, che ho parlato di questi argomenti comunque in una maniera strutturata, diciamo, per cui era un discorso strutturato, una persona si avvicinata, perché poi chiaramente ero lì per, non so, poter rispondere a qualche domanda, se ne ero in grado, e questa persona mi ha chiesto come si fa.
Tu hai detto che per essere felici bisogna conoscere se stessi, come si fa a conoscere se stessi? Questa non è una domanda facile.
Io ho il mio modo, magari mi sbaglio.
Come facciamo a osservare la Terra? Come facciamo se siamo nella Terra? La osserviamo dal riflesso che ne abbiamo degli altri.
La Terra l'osserviamo dal riflesso che ne abbiamo dai pianeti che ci circondano.
E la stessa cosa facciamo noi.
Quindi la capacità deve essere quella di saper distillare ciò che ci rappresenta da ciò che invece gli altri aggiungono come opinione, come visione del tuo personale, perché sono tanti visioni individuali che poi tu devi andare a distillare, dalle quali poi tu devi andare a distillare la visione di te.
Ed ecco perché, questa è la mia visione, dal mio punto di vista la felicità a livello individuale, forse sono molto occidentale come approccio, però proprio partendo da questo punto di vista, la visione tu ce l'hai se ti confronti con l'altro, quindi la solitudine, l'individualismo più stretto, l'essere da solo fino a se stesso, non mi permetterebbero di scoprire me stesso e quindi probabilmente neanche di abbracciare me stesso e raggiungere la felicità.
Lo capisco, io ti devo dire che nei momenti in cui ho scoperto di più di me stesso purtroppo ero solo, perché viaggiando tanto, come ti dicevo, purtroppo si vive in solitudine.
Quando ne parlo mi viene sempre in mente una poesia di Pasolini che a un certo punto dice per essere poeti bisogna avere tanto tempo, l'unico modo, aspetta ce l'ho qua sotto, da qualche parte, per essere poeti bisogna avere molto tempo, ore e ore di solitudine sono il solo modo perché si formi qualcosa, per dare stile al caos.
Su questa cosa mi ci ritrovo molto purtroppo e la soffro tantissimo, ma io tra una settimana meno devo andare a Berlino e sarò da solo e sinceramente ho zero voglia perché sarò ancora una volta da solo.
E' vero, diciamo che nel confronto con gli altri, diciamo così, noi come esseri umani tendenzialmente nel confronto con gli altri cerchiamo conferme più che un reale confronto, bisogna almeno, io sono onesto, mi sembra di essere più da quella parte lì.
Quando parlo con qualcuno o cerchi scontro o conferme, non so se è lo stesso per voi, ma nel momento in cui ti scontri o nel momento in cui ricevi una conferma hai una validazione della tua idea e quindi della tua identità, che può essere una conferma sia che il confronto vada bene che vada male, non prendiamo necessariamente uno scontro come qualcosa di negativo a questo punto di vista.
Dopodiché… Vai, vai, vai sereno.
No, no, semplicemente arrivo dal nostro ritiro aziendale completamente devastato dal punto di vista emotivo e mi sembra molto, molto plausibile anche quello di cui parli tu, per cui insomma è tutto un continuo cambiare.
Sai, se fino a prima della Near Fest, quindi il nostro ritiro, la pensavo in un modo, ci sta che da poi, da subito dopo la Near Fest ho cambiato idea e la cambierò altre mille volte.
Per cui non esiste una validità universale.
E ritorniamo sempre a bomba.
E sai perché ti dico questo? Perché esattamente la fase della solitudine l'ho vissuta appena prima di sposarmi.
Quindi quello che tu dici, in quello che tu dici mi riconosco profondamente.
E per me è stata una scoperta, scoprire un me stesso diverso dall'immagine che mi ero costruito.
E cazzo, cioè sono arrivato, va beh che noi mutiamo molto rapidamente, però sono arrivato a comprendere o a vedere un'immagine di me che era completamente diversa dall'immagine che mentalmente mi ero costruito.
Tanto da dirmi, ma Mauro, quello che tu hai costruito è Mauro o è l'illusione di Mauro? Boh, non ho una risposta.
Però per quello io batto sempre sul fatto degli altri.
Perché, raga, a me ha sconvolto la vita.
Code Emotion, ritiro aziendale.
E queste cose me le hanno ricambiata.
Per cui dico una cosa, e lo tendo a sottolineare riportandoci anche nel nostro contesto.
Il Full Remote è una delle cose più belle che io abbia mai fatto.
Ma è bella perché vive in un contesto strettamente connesso.
Cioè un contesto che mi permette di vivere delle esperienze dove c'è una connessione potente con gli altri, che non è una chiacchierata alle macchinette del bar.
Convieni con me che io credo di aver scoperto molto più di Michele in quelle dieci ore che siamo stati assieme, rispetto a quanto ne avrei scoperto in tre anni di lavoro bevendo un caffè assieme.
Sì, alla grande.
Ma poi tu hai toccato un altro punto fondamentale, ovvero dici giustamente che nel confronto con gli altri cresce validi la tua identità, giusto? Ho capito bene? Sì, la tua identità si evolve.
Si evolve grazie agli stimoli esterni e gli stimoli esterni ti fanno anche da riflesso per comprendere ciò che sei.
Io inizio a credere che in realtà l'identità ce la diano gli altri, punto.
Che senza il confronto con gli altri non esista questa conferma della nostra identità.
Durante la mia Artfest in particolare, in cui le connessioni che si sono create con tante persone hanno validato e distrutto tante idee che avevo sulla mia identità, sulla mia morale e sulle mie idee, credevo di essere completamente immune a certe dinamiche, a certe emozioni, a tutto quello che vuoi, a certi comportamenti e mi sono riscoperto invece completamente impreparato ad affrontare la realtà dei fatti, in senso positivo naturalmente.
E' proprio quello, quando dici ci siamo conosciuti molto di più di 10 ore lì che in 3 anni di possibile lavoro insieme, ma sì, hai assolutamente ragione, ma chiaro.
E' un peccato che non sia una cosa che si fa più di frequente, ma forse è anche per questo che siamo riusciti tutti ad essere così coesi.
Perché abbiamo dato valore a quelle ore.
Ne parlavo proprio oggi con mia moglie, uscirò con un tweet provocatorio tra qualche giorno, quindi preparatevi, sul concetto del remote working.
E' una questione di dare valore a quelle ore.
Noi, come dici tu e io concordo, siamo l'insieme degli eventi che viviamo.
La nostra individualità, la nostra ricchezza individuale che ci rende unici è proprio la combinazione di questi eventi, che è di natura strettamente personale.
Cioè Michele è quell'evento più un altro milione di eventi che gli hanno cambiato la vita.
E lui è quell'evento più un altro milione.
Luca, idem.
Quindi c'è una parte individuale, c'è una parte collettiva, e poi ci sono, che secondo me è quello che da uomini e da donne e da persone dovremmo riuscire a fare, cioè cercare di costruire delle occasioni per creare questi eventi.
E' una cosa che mi riprometto, ne ho parlato a lungo anche con Luca di questa cosa, dobbiamo trovare anche community, prenderci l'impegno anche come community di Gitbar, di andare a costruire queste situazioni.
Perché siamo sviluppatori ma siamo persone.
Ti faccio una provocazione da questo punto di vista, sono d'accordo, però vediamo dove arriviamo.
Credo sinceramente, tu credi nella fortuna? No.
Ok, neanch'io.
Credi nel destino, nel caso? Nel caso come combinazione randomica di eventi sì.
Ma quello ci possiamo credere, un po' di entropia per cui va bene.
Non come random di javascript.
Non è random, esatto.
Però ti faccio un esempio, è una cosa, parafraso un pochino una cosa che mi è successa.
Facciamo finta che tu domani prendi, tu sei a Lione giusto? Sì.
Ok, vai a Parigi, prendi il treno, scendi, ti fai un giro in centro, incontri una persona che non vedevi da una vita o che non hai mai incontrato prima ma che comunque ci hai scambiato qualche parola, comunque una persona che conosci, ok? Che non ti aspettavi di incontrare lì.
E ci vai d'accordo di brutto.
Passi una bella giornata.
Nulla di che, una bella giornata.
Il fatto di proseguire una conversazione con questa persona per tutta la giornata, tanti la vedrebbero come un...
è un segno che devo proseguire.
Invece io continuo a pensare che vedi l'opportunità che c'è nel proseguire questa conversazione ad esempio, questa giornata con questa persona o qualunque altro tipo di cose.
Questo perché siamo abituati a pensare che le cose capitano perché è destino che capitino e questo è un grande ancora apporto del nostro inconscio collettivo cristiano.
In realtà non riusciamo a capire che quello che succede è che noi vediamo un'opportunità e quando diciamo opportunità pensiamo sempre a business, no? No, in realtà no.
È un'occasione.
Vediamo un'occasione per stare, in questo caso nel mio esempio, per passare una bella giornata con qualcuno.
In qualunque modo, al museo, Starbucks, se poi ti vuoi cagare addosso va benissimo.
Cioè ci sono mille modi naturalmente.
Ma l'occasione l'hai creata nel momento in cui l'hai vista e questa è la cosa fondamentale.
Guarda, quando ero all'università, e questo episodio l'ho raccontato forse in una delle prime puntate di Gitbar, che è stato uno degli stimoli che mi hanno spinto anche a fare il podcast.
Ne approfitto e saluto il mio amico Mario, Mondo Computazionale, che ha vissuto con me questa esperienza.
Conobbi un anziano signore, voi immaginate questi due ragazzetti ventenni, minchioncelli, che cazzeggiavano al posto di studiare e che per sbaglio, in una condizione tipo il bar di fronte all'università, conoscono questo vecchio pubblicitario che abitava in Svizzera e si decide di rintanarsi in un paese in Culandia, al centro della Sardegna, dimenticato da tutti da Dio e dagli uomini.
E questo uomo, che mi iniziamo a frequentare e ci insegnò un botto di robe, fondamentalmente cose che riguardano la crescita personale dell'uomo, oltre al marketing e all'advertising, lui ci disse una cosa che è un'immagine che io ho chiara in mente.
Lui disse, Mauro, Mario, la nostra vita è fondamentalmente un puzzle, ok? Tu puoi esserne consapevole o meno, ma se a livello conscio e inconscio tu hai visto l'immagine che sta sul tappo della scatola del puzzle, qualunque elemento ti si presenti davanti tu sarai in grado di distinguerne i pezzi.
Prova a fare un puzzle senza vedere l'immagine nella scatola.
È una delle cose più difficili del mondo.
Immagina un puzzle di mille pezzi, no? È praticamente impossibile.
Ma se tu vedi l'immagine nella scatola tutto diventa più semplice.
Se a livello conscio e inconscio, o subconscio, noi abbiamo quell'immagine chiara in mente, poi in modo completamente automatico i pezzi arrivano alle nostre mani e noi siamo in grado di comporre il puzzle.
Se il puzzle è la nostra vita, allora sono pienamente d'accordo con quello che hai appena detto.
Questa è un'immagine che rappresenta...
Io questa maledetta immagine ce l'ho tutti i giorni davanti ai miei occhi.
Mi hai dato un assist incredibile.
Se ti sei informato con Gallimberti sicuramente sei arrivato anche all'etimologia della parola scopo.
Adesso non ne parliamo dai, per tutti, per dare contesto a tutti quanti.
Tu hai toccato un punto importantissimo per me.
In greco se vuoi dire vedere, così la parola orama, panorama, pan, tutto, orama, vedo, non so, vedo tutto, cioè una visione di un'area importante, insomma.
Però se dici microscopio, telescopio, esiste la parola scopeo, che significa osservare.
Per cui telescopio, osservare qualcosa di molto lontano, microscopio, osservare qualcosa di molto vicino, di molto piccolo.
La parola scopo italiana, quindi il significato ultimo, il fine, parola scopo deriva da scopeo, da osservare.
Hai esattamente centrato il punto secondo me con questa riflessione, perché per vedere, quando ad esempio Nietzsche parla di nichilismo, cos'è il nichilismo? Il primo punto è la perdita di ogni scopo.
Non vedere più davanti a sé un futuro, non vedere più niente.
Per cui l'immagine mentale che dai del puzzle è giusta, è giusta.
Se tu vedi l'immagine sul tappo, i pezzi li metti insieme molto più facilmente, hai ragione.
Sono assolutamente d'accordo e mi piace tantissimo come metafora, perché è esattamente quello che mi è successo.
Oddio, devo essere sincero, mi sta succedendo, è iniziato in un momento veramente molto particolare, che ho capito come volevo arrivare a quella conclusione, non ci sono ancora arrivato, ma parte della mia felicità di adesso sta nel fatto che mi sento all'interno di un percorso per arrivare a capire lo scopo, cosa guardare.
Per cui diciamo… sono… come? No, no, vai, diciamo… Sono su un mezzo in questo momento, ci sto arrivando.
E stai godendo il viaggio.
Sto godendo il viaggio, soffrendo tantissimo, ti giuro.
La Near Fest veramente mi ha lasciato un vuoto, nessuno potrà mai capire.
Ci siamo bruciati tutti i referral.
No, però, no, ma nessuno potrà mai capire.
Io da quando sono tornato a casa che sto di merda per sta cosa qua, ti giuro, è una roba incredibile.
In realtà questo è quello che succede quando metti 270 persone dentro un albergo e le lasci libere di dire e di vivere quello che vogliono.
E' questo.
E quindi adesso parlo alle persone che gestiscono delle aziende.
Cercate di costruire occasioni, perché ne avete la possibilità.
Se ne avete la possibilità, con i mezzi, non c'è bisogno di fare delle cose giganti.
Ma anche in funzione di Gitbar un impegno che noi ci prendiamo è quello di cercare di costruire occasioni, perché grazie a queste occasioni possiamo crescere come persone.
Io guardavo l'orologio, Michè, come ben sai potremo rimanere a parlare altre tre ore, ma ahimè abbiamo praticamente toccato l'ora e mezzo e quindi è arrivato il momento tipico e topico del nostro podcast, il Paese dei Balocchi.
Il momento nel quale i nostri guest, i nostri host condividono con noi un talk, un video, un libro, qualunque cosa vogliate, specie in un episodio così atipico come questo.
Quindi subito dopo la sigla vi chiederò cosa volete condividere con la nostra community.
Iniziamo da Michele.
Michele, hai qualcosa da condividere con noi? Sì, allora io credo come sempre che la sofferenza in ogni caso sia una parte fondamentale della nostra esistenza per cui vi condivido un libro che non piacerà a nessuno, perché c'è un forte stereotipo, no scusa, pregiudizio nei confronti dell'autore.
Il libro è Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero di Vasco Brondi e citando dal libro stesso è un libro che ti cambia le impronte digitali mentre lo leggi, per cui non posso far altro che consigliarlo.
Guarda, questo è uno di quelli che salta la coda e arriva primo primo nella mia lista degli acquisti su Amazon, maledetto te che se ne aggiunge un altro alla lista di letture.
Luca, tu hai qualcosa per noi? Io ho qualcosa, beh sì, in assoluto volevo dire che a un certo punto mi sono messo in disparte e mi sono, ho semplicemente ascoltato quello che avevate da dire perché innanzitutto ho avuto diversi flashback e per citarti ho cominciato anche a vedere la figura del puzzle, del mio puzzle personale.
Ho due balocchi, la prima l'avevo anticipato prima, era un piccolo video che si può trovare cercando decrescenzo come allargare la vita, sono un piccolo spezzone di un film mi sembra 32 dicembre e ovviamente sono io quindi ho anche un piccolo libricino.
Quando si diventa genitori c'è una grandissima cosa positiva che ti rende veramente felice, è quella che puoi dare, puoi realizzare tutti i desideri da bambino che non hai mai realizzato, perché per farlo, per provare quantomeno a farli realizzare i tuoi figli e quindi essere il pessimo genitore che fa, che imbecca i bambini ovviamente, però alla fine quelle cose le fai tu e quindi c'è un bellissimo libro che ho comprato per bambini dai otto anni in su che sono 101 cose da fare prima di diventare grandi.
Se di queste almeno la metà ancora non le hai fatto, beh, forse il caso di farle.
Bellissimo, bello, bello, guà, la pelle docca.
Questo è il papapancino nella situazione che dice anche questi due vanno a finire direttamente negli acquisti di Amazon.
Ahimè, anch'io un libro, però siccome Michele e Luca sono molto profondi e io tipo sono una capra ignorante, io vi porto un libro di immagini.
Il libro si chiama Potenze di Dieci.
Prima vi ho parlato di questa figura un po' che non era un guru fondamentalmente, era semplicemente un adulto che era riuscito a parlare a un ragazzo, no? Ed era riuscito ad affascinare con le parole del ragazzo dicendo le cose che tutti i genitori ti dicono ma che non vuoi ascoltare e spesso andiamo a cercarle fuori.
Una di queste cose era il racconto di Potenze di Dieci.
Potenze di Dieci è un libro, probabilmente ve ne ho anche già parlato, ma è veramente impattante, è uno di quei libri che cambia la vita, che si legge a metà.
E quando Carlo ce lo suggerì ci disse voi dovete aprire a metà il libro e decidere dove andare, a destra o a sinistra.
Se andate verso destra tutto diventa più piccolo.
Immaginate l'immagine di quest'uomo sdraiato su un prato, se girate verso destra le varie fotografie pagina per pagina sono foto che si allontanano dall'uomo fino ad arrivare a livelli di via lattea o comunque il macro più macro che potete vedere.
Se invece girate dall'altra parte lo zoom si avvicina, tanto da entrare nell'uomo, arrivare alle cellule e agli atomi.
Ecco, in un contesto di ricerca della felicità credo che questo tipo di libro sia veramente importante perché ci dà una posizione e ci ricontestualizza.
Spesso molta della tristezza arriva, come dicevamo prima, dal fatto di sentirci Dio, di sentirci troppo grandi, di sentirci quasi onnipotenti e quindi girando le pagine verso destra e tu vedi allontanare, vedi l'uomo sempre più piccolo capisci la tua piccola insignificanza.
Girandole dall'altra parte invece vedi la tua importanza, la tua grandezza perché quando arrivi alle cellule e agli atomi tu dici cazzo quello sono io e guarda la complessità, la grandiosità, la maestosità che mi compone.
Quindi è un libro che confonde ma dà anche risposte ed è per questo che lo volevo condividere con voi.
Molto bello e mi hai fatto venire in mente, perdonami forse non dovevo iniziare a parlare.
Vai sereno, siamo a nervi.
Pensa tutte le cellule che ci compongono, 14 miliardi di anni fa erano tutte in un unico punto grande con un granello di sabbia, eravamo tutti vicinissimi, tutti.
L'universo si è espanso in una maniera incredibile e ci siamo ritrovati tutti, settimana scorsa, ad Alicante.
Adesso io devo conviverci.
Guarda questa cosa vi condividiamo, no non ve la condividiamo, vi possiamo assicurare di una cosa, non c'erano droghe ma c'era tanta sincerità e tanta libertà e non paura del giudizio per cui era una cosa che auguro a tutti di poter fare tutti i giorni.
Assolutamente.
Questa credo che sia stata una delle puntate più difficili di Gitbar e anche più borderline, però sono veramente felice di averla fatta.
Luca tu che dici? No, sì come dicevo prima non ho partecipato al vostro incontro, ho visto uno scorcio in questa ultima ora e mezza e sì come in ogni puntata, oltre che programmatore, mi sento una persona migliore rispetto a un'ora e mezza fa.
Bello, bello, bello, le persone generano un valore che neanche immaginiamo.
Miki, tu invece, quindi hai detto che sarai prestissimo a Berlino, no? Berlino, Malmo, Londra, Firenze, Bologna.
Minchia! Ammazza, mi prego! No, però guarda...
Mai più.
Credo che mai più, ormai...
Mai più.
Basta, basta.
Sì, abbiamo contato, l'altra giornata abbiamo contato tipo le apparizioni pubbliche di Michele sono una cosa allucinante.
Serve un'energia, quindi il consiglio che ti posso dare è anche rilassati, take it easy.
L'anno prossimo ho messo un limite, non ce la faccio più.
Sono veramente felice di averti conosciuto e felicissimo di aver portato con noi questo contenuto e questa riflessione.
Io, ripeto, spero anche che tutta la community, ne sono quasi sicura, apprezzerà questo tipo di episodio, probabilmente vedremo delle facce stranite.
Sappiate che, cioè, Michele è nel gruppo, quindi mi piacerebbe e ci piacerebbe anche avere le vostre opinioni.
La cosa bella appunto è non mettere i limiti e ascoltare e crescere grazie agli opinioni di tutti, anche perché in questa conversazione eravamo noi tre.
Però, GateWare è fatto anche di altre più di mille persone, quindi sarebbe bellissimo appunto sapere cosa ne pensate.
Io sono un po' scioccato anche da questa conversazione.
Voi tutto a posto, tutti i pezzi del puzzle sono a posto? Passerò questa notte insonne, molto probabilmente.
Passerò anche questa notte insonne.
Io avevo ricominciato a dormire.
Ragazzi, dai.
Credo che fosse doveroso, nel momento in cui ci si pone certe domande, condividere con quella community che in realtà è diventata parte di te stesso e di noi stessi.
Quindi per me era importante fare questo episodio.
Appena Michele mi ha proposto il topic io gli ho detto, ci ho riflettuto, ho pensato all'impatto, ma poi gli ho detto cazzo, cioè non gli ho neanche detto di sì, gli ho detto cazzo e me lo chiedi pure.
Ho sentito subito i ragazzi e è andata.
Quindi la prossima volta però parliamo di Lyra.
Perché in realtà noi avevamo tipo pianificato un episodio sul motore di ricerca che sta, che sta, non so, sulla quale sta lavorando Michele, ma credo che al di là del fatto che Lyra è un prodotto fantastico, è un tool fantastico, sono super curioso di scoprire le internals con te, ma credo che il valore umano di questa conversazione fosse inestimabile.
Detto questo io ringrazio di nuovo Michele per esserci venuto a trovare.
Grazie a voi per l'invito, anzi l'auto-invito.
Nichi, come dico sempre e non è un modo di dire, Gitbar è anche casa vostra, venite quando volete una birra fresca, c'è sempre in fondo appunto sentire l'altro, è quell'elemento che ci fa crescere.
Ringrazio anche Luca che in realtà lui dice di non aver contribuito, le riflessioni che Luca ha fatto e alcuni passaggi sono parte degli elementi che non mi faranno dormire stanotte, quindi sentitene responsabile.
Va bene, mandami un messaggino se lo sveglio anch'io.
Ti mando i fantasmini su Telegram.
Detto questo e vista anche l'ora e quaranta di episodio abbondante che abbiamo registrato io vi ringrazio e vi do appuntamento alla prossima settimana.
Grazie di cuore.
Ciao! Gitbar, il circolo dei fullstack developer.
Una volta a settimana ci troviamo davanti a due birre e con BrinRepo parliamo di linguaggi e tecniche di sviluppo web, di metodologie e di strumenti immancabili nella cassetta degli attrezzi dei fullstack dev..